
L’atteggiamento NIMBY consiste nel riconoscere come necessari, o comunque possibili, gli oggetti del contendere ma, contemporaneamente, nel non volerli nel proprio territorio (“OK, ma non nel mio cortile”, appunto) a causa delle eventuali, temute controindicazioni sull’ambiente locale.
Paradossalmente, la facile attribuzione della qualifica di NIMBY alle opposizioni ad un progetto può squalificare a priori le eventuali valide argomentazioni portate contro il progetto, ad esempio le critiche su vari aspetti del piano, dall’impatto ambientale alle valutazioni sulla sua effettiva utilità fino alle osservazioni in merito agli interessi economici che lo supportano.
L’argomento NIMBY si sta quindi prestando ad essere usato pretestuosamente sia da quanti sostengono un progetto (“tutte le opposizioni sono causate dalla sindrome NIMBY”) che da quanti lo avversano (“i nostri argomenti non vengono ascoltati, sostenendo che si tratta solo di una protesta NIMBY”).
La sindrome NIMBY può degenerare ulteriormente nella proposta di un totale, estremo immobilismo, tanto cara agli ecologisti ed alle Soprintendenze: gli anglofoni utilizzano l’acronimo BANANA che sta per “Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anything” (lett. “Non costruire assolutamente nulla vicino a qualsiasi cosa”).
Per assurdo, se fossero esistiti questi organi/associazioni di tutela del territorio nel Rinascimento, sarebbe stato molto difficile per ser Filippo Brunelleschi costruire la cupola di Santa Maria del Fiore, tanto incombente da deturpare il centro storico di Firenze.